Il Teatro Greco
inedito
La scena assieme all’azione fu pensata in fondo
e originariamente solo come visione, l’unica “realtà”
è appunto il coro, il quale produce fuori di sé la visione
e parla di essa con tutto il simbolismo della danza,
del suono e della parola.”
F. Nietzsche, La nascita della tragedia.
L’organismo del teatro antico può essere letto come immagine architettonica della contrapposizione/composizione dei due termini: – Natura e Storia – che i Greci consideravano base del Mito, arte della ricerca delle proprie origini.
In prima analisi nella sequenza dei quattro luoghi del teatro – Cavea e Scena, Orchestra e Paesaggio di fondo – i primi due sono rappresentazioni virtuali rispettivamente di Natura e Storia e i secondi rappresentazioni reali dei due termini.
Lo spazio (naturale) della Cavea, abitato dagli uomini,volume scavato nella roccia, indefinito nella moltiplicazione delle orizzontali, luogo della vita, si contrappone allo spazio (storico) della Scena, piano articolato da membrature verticali, abitato dagli dei e dagli eroi, luogo del Mito.
Nello spazio della Cavea l’uomo è egli stesso Natura; isolato nella propria individualità fisica all’interno della massa degli individui e circondato,come sulla superficie del mare aperto, dall’arco dell’orizzonte; egli tende l’orecchio e scruta, immobile e silenzioso, i fenomeni che gli si svolgono davanti e dei quali non può modificare il corso: la Cavea è, nella indeterminazione delle orizzontali, metafora della natura non ancora misurata, proiezione radiale dell’infinito orizzontale. Metafora che trova il proprio referente reale nel luogo geografico presente oltre e sopra la Scena e percepito come cornice di essa, con il profilo noto dei monti e le ombre dei boschi dove gli dei hanno generato i capostipiti, con l’estensione delle pianure misurate dal lavoro della comunità e segnate dalle vicende passate, Natura conquistata e resa partecipe della propria storia.
Anche lo spazio della Scena, come quello della Cavea è leggibile come proiezione, in questo caso parallela. Dal paesaggio di Argo che si stende di fronte al teatro, la mitica reggia degli Atridi viene traslata sulla Scena nel piano virtuale incorniciato dalle membrature di essa.
Reciprocamente lo stesso individuo spettatore si proietta virtualmente contro il piano della Scena nell’azione dell’attore, il quale stabilisce una precisa relazione storica tra i propri gesti e il quadro entro cui agisce.
Mediante tale relazione lo spettatore prende coscienza della propria storia individuale e sociale, costruisce cioè la propria liberazione attraverso il Mito
Nel Coro, infine, immagine della prima arcaica fisica partecipazione al rito, egli rappresenta se stesso attualmente, reagisce e prende partito nella vicenda drammatica “con tutto il simbolismo della danza, del suono e della parola”.
E lo spazio del Coro, l’Orchestra, cerchio magico che genera l’intero organismo teatrale, riassume in sé tutte le precedenti relazioni simboliche: è immagine dell’infinito naturale, ora però inscritto e misurabile, è segno sintetico della Città e perciò rispecchiamento di una Natura artificiale, è proiezione terrena dello spazio mitico della Scena.