frammento / rovina / scheletro
Nella ROVINA di un edificio antico l’architettura, spogliata di funzioni e ornamenti, ha quasi del tutto annullato la distanza che la separa dal mondo naturale e la sua materia, massa, colore, tessitura, si è riavvicinata a quella della natura prima, dal quale era stata strappata dall’azione umana. L’edificio ne risulta quasi riassorbito nel continuum naturale. Il lato occidentale del Palatino che si affaccia sul Circo Massimo, o Il Santuario di Palestrina si presentano simili a emergenze o formazioni rocciose, in completa continuità con il terreno su cui sorgono. Solo in un secondo momento ne scorgiamo, se pure indebolita, la geometria che un tempo ne organizzava le membrature. Il tempo che vi ha agito lentamente (per secoli) non ha esercitato azione dissimile da quella che ha modellato (per millenni) montagne e valli della superficie terrestre. In questa prospettiva temporale la similitudine è data da un evento repentino (la costruzione oppure la catastrofe tellurica), seguito da una lenta erosione.
Nelle grandi costruzioni romane, per esempio nel c.d. Tempio di Minerva Medica il muro laterizio, materiale continuo e omogeneo, sotto l’azione degli elementi si comporta come una massa rocciosa. Come questa, il manufatto presenta discontinuità e punti di forza derivanti dalle vicende della sua formazione. L’erosione si manifesta come in un tronco abbandonato sulla spiaggia che la salsedine ha modellato liberandone le fibre più dure.
Perchè la ROVINA, architettura spogliata di funzione e senso ci appare più stimolante e comunicativa dell’edificio da cui deriva? Si avverte in essa la tensione verso l’unita e la competezza perdute. I frammenti stabiliscono tra loro un nuovo rapporto, una relazione debole e “non necessaria” (vedi→ELENCO), quindi aperta e dialettica. Essi si prestano a nuove associazioni, spesso incongrue,come in alcune vedute di Piranesi e perciò nuove e stimolanti (vedi→SPOSTAMENTI E ROVESCIAMENTI SEMANTICI).
Si percepisce così, più chiara che in un nuovo edificio costruito, una doppia immagine: la dualità materia – forma si rivela in un rapporto che qui, in assenza/cancellazione della funzione architettonica risulta depurato come avviene in quelle che consideriamo “sculture”. Inoltre questa doppia immagine rimanda prepotentemente ad una rappresentazione metaforica del tempo. A maggior ragione questo avviene quando interviene una terza immagine, quella del suo riutilizzo attuale.(vedi→TEMPO)
Dall’organismo antico spogliato di funzioni e ornamenti emerge l’immagine dello SCHELETRO, che non è solo l’immagine della sua struttura statica,(tantomeno nella sua accezione modernista, come struttura seriale), come spesso viene letta, ma la ragione stessa della forma nella sua espressione più chiara e sintetica. Simmel leggeva questa chiarezza come risultato del conflitto tra “forza ascendente dello Spirito contro forza discendente della Natura”. Naturalmente traduciamo “Spirito” con “ragione logica” o più propriamente con “legge aggregativa”.
L’architettura contemporanea si è appropriata dell’immagine della ROVINA, riproponendo intenzionalmento quanto incontriamo in forma “naturale” nelle nostre città
Kahn ha saputo trarre dalla sua esperienza romana le due caratteristiche più innovative del suo linguaggio più maturo: le sue architetture come i ruderi romani costruiscono una “seconda natura”, una natura artificiale (per esempio a Ahmedabad,1974. Inoltre l’essenzialità della forma nella sua definizione di spoglia geometria elementare, come nella Unitarian Church, Rochester,1959-64, rivela cio che lui chiamava “ciò che l’architettura vuole essere”, in opposizione polemica al funzionalismo di una architettura che mostra ciò a cui serve.
Nei miei primi progetti, fortemente influenzati dalla poetica kahniana, si ritrova l’intenzione di “costruire rovine”. La villa al mare,Palinuro,1968 di geometria complessa ma di forme come scarnificate e private di funzione registra questa intenzione: è concepita come un frammento di un più complesso edificio a pianta ottagona di cui una buona parte è crollata o non è stata scavata. Anche l’insieme delle diciotto case di cooperativa, Marino, 1966 fa capo ad una doppia immagine: di uno spazio chiuso e murato: in quella reale il muro è segmentato in frammenti, in quella virtuale da cui essa deriva essa fa riferimento alla base di una grande cupola che riassume l’unità dell’insieme.